Intervista a Otto Scharmer sulla Theory U e il cambiamento profondo
Viviamo un’epoca attraversata da crisi ecologiche, sociali e interiori. Sempre più persone sentono che qualcosa deve cambiare, ma non sanno da dove cominciare. In questa intervista, Otto Scharmer — professore al MIT e fondatore della Theory U e del Presencing Institute — ci offre uno sguardo lucido e radicale: il cambiamento che desideriamo non avverrà se non cambiamo il nostro modo di ascoltare, percepire e agire.
Secondo Scharmer, è tempo di passare da un’azione reattiva a un ascolto profondo del futuro che vuole emergere. Solo così possiamo trasformare davvero i sistemi in cui viviamo — dalle organizzazioni alle comunità, fino a noi stessi.
In questo dialogo esploriamo i concetti fondamentali della Theory U, le fratture del nostro tempo e il ruolo chiave della presenza come competenza trasformativa. Un invito ad andare oltre le soluzioni tecniche e a coltivare uno spazio interiore da cui può nascere qualcosa di autenticamente nuovo.
Professor Scharmer, molte persone oggi sentono che stiamo vivendo un momento di grande discontinuità. Lei parla spesso di “futuro che vuole emergere”. Cosa intende esattamente?
Sì, lo sentiamo ovunque: qualcosa sta finendo e qualcos’altro vuole nascere. La sensazione è quella di trovarci su due rive: da una parte il nostro io attuale, dall’altra un io possibile, connesso a un futuro più autentico. Il lavoro della Theory U consiste proprio nell’aiutare il sé presente a mettersi in ascolto e in relazione con quel futuro che vuole emergere.
Lei utilizza spesso la metafora dell’iceberg. Può spiegarcela in poche parole
L’iceberg rappresenta il sistema. La parte visibile – solo il 10% – sono i sintomi: crisi climatiche, ingiustizie, frammentazione sociale. Ma sotto la superficie c’è il restante 90%: abitudini, logiche economiche, modi di pensare. Se non ci occupiamo di questi strati più profondi, continuiamo a ripetere gli stessi problemi.
Nel suo libro lei parla di tre grandi “fratture” del nostro tempo: ecologica, sociale e spirituale. Può dirci di più
Sì, queste fratture sono interconnesse.
- Quella ecologica nasce dalla separazione tra l’essere umano e la natura.
- Quella sociale è la distanza crescente tra noi e gli altri, con disuguaglianze sempre più gravi.
- E quella spirituale è forse la più sottile: la distanza tra il sé attuale e il sé potenziale. Quando non siamo in contatto con ciò che potremmo diventare, sperimentiamo disconnessione, esaurimento, persino disperazione.
Eppure, come lei dice, nessuno si alza la mattina con l’intenzione di distruggere l’ambiente o creare sofferenza. Perché allora accade?
È proprio questo il punto. Nessuno lo vuole individualmente, ma collettivamente produciamo risultati che nessuno desidera. E questo ci obbliga a guardare in profondità: quali strutture, pensieri e abitudini ci portano a questo? La Theory U nasce proprio come risposta a questa domanda.
Quindi il cambiamento, secondo lei, parte prima di tutto da dentro?
Assolutamente. Il vero cambiamento non inizia dall’esterno, ma dal modo in cui osserviamo, pensiamo e sentiamo. Il sistema si trasforma quando cambia il modo in cui noi ci relazioniamo ad esso. In questo senso, il lavoro più urgente è un lavoro interiore collettivo.
Un’ultima domanda: quale competenza le sembra oggi più urgente da coltivare?
La capacità di ascolto profondo: verso sé stessi, gli altri e il futuro. Senza questa, rischiamo di reagire anziché rispondere, di ripetere schemi vecchi invece di lasciar emergere il nuovo. E qui pratiche come il Social Presencing Theater hanno un ruolo essenziale: portano il corpo e la presenza nel processo di trasformazione.